Il ragazzo del secolo breve: diario sentimentale di una generazione in guerra
Un ritratto dell'Italia prima, durante e dopo la II Guerra Mondiale ma anche un racconto personale che attraverso ricordi e aneddoti consente di comprendere meglio come si viveva in quegli anni: è quanto racconta il libro “Il ragazzo del secolo breve”, scritto dal giornalista Mario Talli e pubblicato da Stamp Editore. Un'autobiografia che permette a Talli di ripercorrere tappe fondamentali della storia dell'Italia attraverso i suoi occhi di ragazzo, che a dodici anni vide cambiare la propria vita con lo scoppio della II Guerra Mondiale, e poi di uomo. Un libro sulla Resistenza ma non solo, perchè, come si legge nella prefazione di Renzo Martinelli, “In questa narrazione il periodo della Resistenza è felicemente inserito in un prima e in un dopo, in un tempo che precede e in un tempo che segue il fenomeno della guerra civile. Il racconto si arricchisce non solo per le vicende personali dell’autore ma anche per la presenza di altri personaggi: i compagni e gli amici di Talli, con le loro storie particolari e i diversi destini di ciascuno.” Mario Talli, com'è nata l'idea di questo libro? M.T. “Sulla Resistenza si è scritto molto e si continua lodevolmente a farlo. Ho tuttavia l'impressione che sia rimasto un po' in ombra come erano e come vivevano l'Italia e gli italiani negli anni che la precedettero, gli anni della dittatura e della guerra. Per la maggior parte della popolazione furono anni di ristrettezze economiche e di privazioni, con vaste sacche, specialmente nelle campagne, di vera e propria povertà. Allo stesso tempo mi pare che non ci si sia soffermati abbastanza su come l'esperienza resistenziale influenzò la rinascita della vita democratica in tutte le sue espressioni. Molto importante, per esempio, fu la coesistenza dei partiti antifascisti nell'ambito del Comitato di liberazione nazionale. Non soltanto per elaborare ed attuare, durante la guerra e l'occupazione nazista le strategie di carattere militare, ma anche per cominciare a prefigurare i futuri ordinamenti statali. Quell'impegno comune dei partiti antifascisti nel preparare quella che poi sarebbe diventata la fase costituente del nuovo Stato democratico, permise loro di superare in qualche modo senza danni irreparabili le contrapposizioni e i gravi contrasti che si manifestarono fin dal primo dopoguerra sul piano interno e su quello internazionale principalmente ,ma non solo, come conseguenza dei blocchi contrapposti e della guerra fredda". Quanto la guerra ha influenzato la sua vita? M.T. “Ovviamente ha influenzato la vita di tutti, ma in particolare la crescita e il destino delle generazioni più giovani. Per quanto mi riguarda devo dire – lo scrivo anche nel libro – che la guerra mi ha fatto crescere e maturare intellettualmente e psicologicamente più in fretta. Allo scoppio della guerra avevo dodici anni. Se ripenso a quel periodo mi pare di cogliere una specie di distacco improvviso, una frattura con le nostre occupazioni quotidiane precedenti: la scuola, le letture, i giochi, le scorribande nei campi e nei boschi. Dopo l'inizio della guerra continuavamo grosso modo a fare le stesse cose di prima, o almeno ci provavamo ma la nuova realtà condizionava i nostri pensieri e anche le nostre azioni. Ma non solo la guerra ha accelerato il nostro sviluppo mentale, ha anche influenzato la nostra vita. Per quanto mi riguarda sono convinto che se non avessi vissuto l'esperienza della guerra e sopratutto della Resistenza ben difficilmente avrei fatto come mestiere il giornalista”. Il suo libro racconta aneddoti e personaggi che hanno fatto parte della sua vita; quali sono le figure che hanno rivestito un ruolo fondamentale? M.T. “Fondamentale è una parola grossa, diciamo “importante”. Io sono nato in un paese di campagna i cui abitanti erano in prevalenza coloni mezzadri, operai e braccianti agricoli, molti dei quali analfabeti. Personaggi, nel senso comune che si attribuisce a questo termine quindi non c'erano. Ciò detto, colui che per primo e nel modo più incisivo ha favorito il mio sviluppo intellettuale è stato un uomo semplice, non particolarmente istruito, che di mestiere faceva il tecnico dei telefoni e a cui nel libro ho dato il nome di Ottavio. Egli in primo luogo ha acceso in me l'interesse per la storia e la politica. Ma non solo: col suo modo pacato e assennato di ragionare e di comportarsi mi ha indicato anche il metodo – così almeno credo – per accostarsi alla politica in modo sensato e giusto, a prescindere dagli orientamenti e dalle scelte che ciascuno di volta in volta assume. Tra i personaggi – questa volta l'espressione non è usurpata – che mi hanno in qualche modo influenzato o hanno rappresentato per me un punto di riferimento nell'immediato dopoguerra, quando ero ancora in una fase di crescita indicherei Mario Fabiani, il primo sindaco di Firenze eletto dal popolo e lo scrittore Romano Bilenchi, direttore del giornale “Il Nuovo Corriere”. Entrambi di fede comunista ed iscritti al Pci (il secondo ad un certo punto se ne distaccherà come reazione all'intervento sovietico in Polonia, per poi rientrarvi) ma senza mai rinunciare al loro spirito critico. Tra gli altri personaggi degni di nota incontrati nel corso della mia vita e con i quali ho avuto rapporti mi piace ricordare Giorgio La Pira, successore d Fabiani a Palazzo Vecchio, padre Ernesto Balducci e Tristano Codignola ed Enzo Enriques Agnoletti, provenienti del Partito d'Azione. Approfitto dell'occasione per citare due direttori di giornale con i quali, oltre a Bilenchi, ho avuto la ventura di lavorare: Arrigo Benedetti e Giuseppe Fiori”. Dagli ideali del dopoguerra alla crisi della società moderna. Cosa vede nel futuro dell'Italia? M.T. “Sarò franco: il presente del mio Paese e del mondo non mi piace e il futuro un po' mi inquieta. Spero tuttavia sinceramente di sbagliarmi e che le mie impressioni siano, appunto, soltanto impressioni dovute magari dall'età. Devo dire in ogni caso – e quando dico questo sono sicuro che non è un'impressione fuggevole – che noto con tristezza un peggioramento “qualitativo” generale, forse in parte dovuto ai “cascami” della rivoluzione tecnologica (i prodotti negativi della medesima), alla globalizzazione governata, quando lo è, da un nuovo tipo di ipercapitalismo che sfugge ad ogni possibilità di controllo. A proposito di ciò che ho definito peggioramento qualitativo generale, alludo in particolare ai modi attuali di fare politica, ma anche all'informazione, alla letteratura, all'arte, alla critica… Per quanto concerne il raffronto con il fervore operoso dell'immediato dopoguerra, mi piace rispondere con le parole dello storico Guido Crainz: “Come si è passati dalla società sofferente e vitale del dopoguerra, capace di risollevarsi dalle macerie e protagonista poi di uno sviluppo straordinario, all'Italia di oggi? Spesso spaesata, confusa, incerta di se stessa? Come si è passati da un sistema di partiti cui ci si affidava sostanzialmente con fiducia ad un Paese piagato, ad un degradare che oggi ci pare quasi senza fine?” Mario Talli è nato a Montaione, in provincia di Firenze. Ha esordito pubblicando alcuni racconti sulla terza pagina del quotidiano «Il Nuovo Corriere» diretto da Romano Bilenchi, dove è stato assunto nel 1954 e dove è rimasto fino alla sua chiusura. Ha poi collaborato con altri importanti giornali nazionali concludendo l’attività nella redazione fiorentina di «La Repubblica». Per alcuni anni ha fatto parte del Comitato esecutivo e del Consiglio nazionale dell’Unione giornalisti pensionati aderente alla Federazione nazionale della stampa.