Tribunale di Siena: "Legittimo tutelare le proprie fonti. Simili episodi a danno dei giornalisti non devono accadere"
Quanto accaduto al Tribunale di Siena, dove un collega pubblicista è stato costretto a rivelare al magistrato la fonte di una notizia per non essere incriminato per favoreggiamento, ripropone l'urgenza di cambiare una norma, l'articolo 200 del codice di procedura penale, che perpetua un'anacronistica stortura e lede il diritto all'informazione. Sebbene l'articolo in questione riservi ai soli professionisti la possibilità di opporre il segreto professionale alla richiesta di un magistrato di rivelare la fonte di una notizia, tuttavia è ormai riconosciuto come questa norma discrimini in maniera incomprensibile e inaccettabile pubblicisti e praticanti ed è in contrasto con l'esercizio del diritto di cronaca, fondamento della democrazia, come dimostra una consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che ha ribaltato numerose sentenze in materia. Ma non è solo la Corte dei diritti dell'uomo a ritenere essenziale il dovere del giornalista a non rivelare la propria fonte: lo affermano le carte deontologiche della professione e numerose sentenze della magistratura italiana. Per questo il Consiglio dei Giornalisti della Toscana esprime il proprio allarme per una lettura della norma ormai superata e lesiva non tanto dei diritti dei giornalisti – per i quali si parla semmai di dovere di protezione della fonte – quanto del diritto dei cittadini a ricevere un'informazione corretta e completa. "Auspichiamo – afferma il vicepresidente regionale dell'Ordine dei giornalisti della Toscana Michele Taddei – che un simile episodio non debba più accadere e che tutti siano convinti che se la ricerca della verità spetta alla magistratura inquirente è dovere, costituzionalmente riconosciuto, dei giornalisti fare inchieste e acquisire notizie. In uno Stato di diritto la magistratura deve fare il proprio lavoro così come la stampa deve informare l'opinione pubblica liberamente. Nessuno deve travalicare questi limiti. Anche per questo chiediamo urgentemente al Parlamento di cambiare l'articolo 200 del codice di procedura penale prima che il Consiglio d'Europa non metta di nuovo all'indice l'Italia"